È solo un primo passo di un percorso accidentato, ma da queste intese bisogna cominciare, se è vero - come dice il premier Paolo Gentiloni - che il problema dei migranti non lo può risolvere neanche il mago Merlino. Ovvero, non si cancella con un colpo di bacchetta magica. Per questo ieri il premier ha firmato a Palazzo Chigi, insieme ai ministri Minniti e Alfano, un accordo con il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou. Uno dei Paesi africani - come Nigeria, Somalia, Mali e Costa d’Avorio - su cui l’Ue vuole investire, perché sono quelli da dove partono migranti. «Nessuno vende illusioni sul fatto che i flussi migratori possano sparire d’incanto. Dobbiamo lavorare insieme, anche con l’Europa, e li possiamo ridurre anche in tempi relativamente brevi», sostiene Gentiloni.

L’intesa rientra in una cornice più complessa e stanzia un notevole sostegno finanziario, 50 milioni di euro. «L’accordo firmato oggi rafforza la frontiera sud della Libia e di conseguenza la frontiera esterna dell’Europa», fa notare Alfano.

Contributi condizionati

Il Niger è infatti un Paese di transito della rotta transahariana che parte dall’Africa occidentale e arriva in Libia. «La logica di questi accordi è che i migranti vanno fermati o alla partenza o lungo il percorso, ma non sulle rive del Mediterraneo», spiega una fonte di governo. Ed è anche in quest’ottica che il primo marzo è stata riaperta la nostra ambasciata a Niamey. «Il passaggio dal Niger - ricorda il premier - è la principale delle vie migratorie che arrivano in Europa con migliaia di africani che muoiono nel deserto e in mare, una situazione che il presidente nigerino ha definito insostenibile anche sul piano morale».

Il governo tiene a chiarire però che i versamenti italiani sono condizionati ai risultati conseguiti: «Con questi 50 milioni il Niger potrà istituire unità speciali di controllo delle frontiere, costruire e ristrutturare posti di frontiera e costruire un nuovo centro di accoglienza per i migranti», chiarisce il ministro degli Esteri. Ma il primo contributo da 10 milioni di euro, assicurano da Palazzo Chigi, resterà l’unico, se dopo un certo lasso di tempo il gruppo di monitoraggio non verificherà che vi sia stata una prima diminuzione dei flussi migratori verso la Libia e un aumento rimpatri dal Niger verso i Paesi di origine.

Il primo versamento è previsto entro giugno, il secondo a dicembre, il terzo a maggio 2018 e l’ultimo a dicembre 2018. Il secondo contributo di dicembre, di 8,5 milioni, sarà versato solo se ci saranno progressi nel breve periodo nella lotta all’immigrazione.

Il terzo «contributo variabile» (7,5 milioni) sarà erogato solo se saranno rispettati i due parametri, l’operatività di un’unità aggiuntiva per il controllo delle frontiere e l’attivazione di tre nuovi posti di controllo alla frontiera. E il quarto a dicembre 2018 sarà legato ai lavori per una pista di decollo per i rimpatri volontari assistiti e la riabilitazione di altre due postazioni di frontiera rafforzate con la Libia. Insomma, ogni elargizione sarà condizionata ed è questa la prassi seguita dall’Italia nel farsi carico da sola di un quarto degli sforzi messi in campo dall’Ue.

Lo stop dai balcani

Ma nell’Ue la strada è tutta in salita per la resistenza dei Paesi balcanici rispetto agli impegni assunti per la ricollocazione dei migranti. Di contro, Angela Merkel è sulla stessa lunghezza d’onda dell’Italia: ha incontrato diversi capi di Stato africani, è convinta che l’Africa stabilizzata sia l’unico modo per non avere flussi infiniti di migranti. E ha già fatto capire che la stabilizzazione dell’Africa sarà al centro dell’agenda della presidenza del prossimo G20 in Germania.

I commenti dei lettori