“La Repubblica” e Ignazio Marino: rappresentazioni e distruzioni del “sindaco marziano”

“La Repubblica” dal maggio 2013 all’ottobre 2015 ha offerto ai suoi lettori diverse rappresentazioni del sindaco dimissionario Ignazio Marino. Il tratto principale che emerge fin dalla campagna elettorale è quello dell’alterità di Ignazio Marino, in una parola: il suo essere marziano. Attorno a quest’epiteto è stato costruito gran parte del discorso mediatico riguardante l’ultimo sindaco di Roma. L’associazione del termine “marziano” alla figura del sindaco è massima nel periodo in cui viene eletto e in quello in cui rassegna le sue dimissioni. Ma ci sono anche altri due momenti significativi nei quali “La Repubblica” dedica un maggiore spazio al “sindaco marziano”: si tratta dei mesi di novembre e dicembre 2014, durante i quali Marino subisce forti pressioni dalla maggioranza per cambiare la composizione della giunta, e del mese di giugno 2015, in cui il Pd e il governo gli chiedono implicitamente di lasciare il Campidoglio.

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Come vedremo, al termine “marziano” sono state attribuite valenze talvolta positive e, con il passare del tempo, sempre più spesso negative. Il modo con cui si è (s)parlato del “sindaco marziano” è dipeso sostanzialmente dagli attori politici che, a seconda della convenienza del momento, hanno utilizzato il termine con accezioni molto diverse. Nell’ambito del discorso pubblico, “La Repubblica” ha agito (a partire soprattutto da un certo momento in poi) come gli altri attori dell’arena politica, contribuendo essa stessa alla costruzione di una specifica immagine del primo cittadino di Roma. Con il passare del tempo, negli articoli del quotidiano lo spazio dedicato al racconto su di Ignazio Marino è stato sempre più usato per la diffusione delle interpretazioni dei singoli giornalisti piuttosto che una rappresentazione serena e distaccata dei fatti. Anche per “La Repubblica”, Marino diventa sempre più un marziano dannoso.

Ma vediamo nello specifico quali sono state le principali rappresentazioni di Ignazio Marino “sindaco marziano” rintracciabili negli articoli de “La Repubblica” a seconda degli attori coinvolti sulla scena mediatica.

Alemanno: l’ex sindaco di Roma e candidato rivale di Marino è uno dei primi a dargli del “marziano”, ovviamente con un’accezione negativa. Per Alemanno, Marino è un “marziano che non sa di che parla”, perché è estraneo a Roma in quanto “calato dall’alto” e portatore della “vecchia logica del buonismo veltroniano”, mentre nella capitale “serve uno sceriffo perché c’è bisogno di regole e certezza della pena” (cfr. gli articoli di Paolo Boccacci del 14 maggio 2013 e di Alessandra Longo del 19 maggio 2013).

Rodotà: per Rodotà, Marino è un politico indipendente e in grado di porsi criticamente rispetto alle logiche del suo partito. L’endorsement di Rodotà nei confronti di Marino in campagna elettorale è netto: “Roma è una città difficile, dove gli interessi sono stratificati, ma proprio per questo il profilo di Marino mi pare adattissimo. Già il solo fatto che lui, in modo pubblico e contro l’ indicazione del suo partito, non abbia votato il governo Letta, mi fa dire che è una persona che per il comportamento palese e trasparente ha dato prova di indipendenza”(cfr. l’articolo di Giovanna Vitale del 31 maggio 2013).

Marino: è interessante notare che fin da subito è Marino stesso ad auto-definirsi marziano, ma in senso positivo. Il sindaco giudica l’epiteto un complimento, rovesciando la prospettiva. Il racconto che fa di se stesso, e l’immagine che vuole trasmettere, fa leva sulle qualità che l’essere diverso porterebbe intrinsecamente con sé nel contesto romano. Marino si presenta in modo diverso (il sindaco in bicicletta e con lo zainetto sono immagini emblematiche di questa auto-rappresentazione) e si sente diverso,  perché le sue intenzioni sono quelle di cambiare drasticamente le politiche per la città e con essa le pratiche di amministrazione della città. Come dichiara appena eletto: “Mi piacciono le definizioni che mi hanno dato Bettini e Alemanno. Irregolare e marziano. Infatti non deciderò sulla base di indicazioni di partito. I miei criteri rimangono competenza e merito. Tant’è che cancellerò gli attuali consigli di amministrazione delle aziende di trasporto e dei rifiuti”. Marino costruisce la sua identità di sindaco esterno sia alle dinamiche di partito che alle logiche affaristiche e clientelari con cui è stata gestita le città. Esemplificativo è lo slogan della sua campagna elettorale, “Non è politica, è Roma”, con il quale prende simbolicamente le distanze sia dagli interessi privati che da quelle del Pd. L’obiettivo è quello di costruire la propria leadership dando un forte segno di discontinuità rispetto del passato. (cfr. gli articoli di Laura Pertici del 3 giugno 2013, di Giuseppe Cerasa dell’11 giugno 2013, di Giovanna Vitale del 18 giugno).

“La Repubblica”: L’atteggiamento de “La Repubblica” nei confronti del sindaco ha subito nel corso del tempo un forte cambiamento. Durante la campagna elettorale e all’inizio del mandato, i giornalisti descrivono le principali caratteristiche politiche e personali di Marino. Riportano che sono i suoi detrattori a definirlo “marziano” mentre il sindaco, da parte sua, cerca di mutare quest’epiteto in un vantaggio, giocando sulle qualità inerenti all’essere un esterno. Inizialmente, emerge un leggero atteggiamento di perplessità dei giornalisti, ma i toni restano pacati. Come vedremo, la situazione muterà radicalmente e l’atteggiamento del quotidiano diventerà non solo di aperto contrasto ma sfocerà nell’assunzione di toni sarcastici ed offensivi.

All’inizio del mandato, Mario Pirani scrive: “lo chiamano il sindaco “marziano” ma non ci sembra basti la passione per la bici per conquistarsi automaticamente un nomignolo popolare.” (cfr. l’articolo del 30 settembre 2013). Gli articoli comunque dedicano quasi sempre l’attenzione non tanto alle politiche e alla gestione della città del sindaco quanto alle dinamiche politiche nelle quali è inserito ed alle pressioni che inizia a ricevere apertamente in consiglio dal novembre 2013 in poi, quando i partiti della maggioranza insistono per cambiare le deleghe in giunta e i vertici di gabinetto e staff.

Lo “sfratto” ufficiale arriva nel marzo 2014. Ce lo ricorda Giovanna Vitale:

“L’operazione per disfarsene è già stata avviata. Ufficializzata giovedì pomeriggio, alla riunione plenaria degli eletti dem, che dopo un lungo processo ha finito per scomunicare il “marziano” atterrato quasi nove mesi fa a Palazzo Senatorio. […] È da tempo, ormai, che nel partito romano e nazionale non si parla d’altro. Della strategia migliore per accompagnare il sindaco della capitale alla porta. Di quanto sia ingestibile. Inaffidabile. Incapace di amministrare la città. Un uomo solo al comando, circondato da un manipolo di fedelissimi, il famoso “cerchio magico”, con i quali esclusivamente si consiglia. Non sempre per il meglio. […] Tutti ormai consapevoli del fatto che non potrà durare fino al 2018, ma ha già una scadenza. Primavera 2015, quando si potrebbe andare a votare anche per le politiche.” (cfr. l’articolo di Giovanna Vitale del 1 marzo 2014).

Alle pressioni del partito si sommano quelle dei dipendenti comunali. Sebastiano Messina nel ricostruire i motivi degli sciopero dei comunali del 6 giugno 2014, calca la mano:

“È il primo sciopero contro un marziano, ma anche il primo sciopero che unisce tutti i comunali, dagli autonomi alla Cgil, sotto uno slogan rubato ai vecchi flipper: “Game over: insert coin to continue”. Il marziano naturalmente è il sindaco Ignazio Marino, che gli abitanti del pianeta Campidoglio considerano come un alieno arrivato un anno fa da chissà dove, con un piano che li ha gettati nel panico: vuole ridiscutere gli extra dei loro stipendi e farli lavorare un po’ di più. Fermi tutti, dunque: per la prima volta la Capitale chiude per sciopero. […] i comunali […] hanno paura di ritrovarsi con buste paga più leggere, e di dover lavorare di più. […] Temono persino che qualcuno chieda loro di restituire tutte le indennità illegittime. Sommate questi timori alla sensazione che il sindaco sia un marziano, un politico che non risponde ai partiti e non si fa fermare dai sindacati, e capirete perché lo sciopero di oggi somigli a un assalto al quartier generale, più che a un assedio.” (cfr. l’articolo di Sebatiano Messina del 6 giugno 2014).

Il giornalista nel ricostruire i motivi e le paure all’origine dello sciopero usa termini di paragone da cui trapela un certo sarcasmo. Traspare l’idea del giornalista secondo cui il sindaco è incapace di gestire problemi che riguardano la sua stessa amministrazione.

Una (breve) inversione di rotta da parte del governo nei confronti di Marino è osservabile nell’agosto 2014 e coincide con l’approvazione del bilancio comunale. “La Repubblica” si sofferma sul fatto che Marino ha evitato a Roma la bancarotta, ricevendo i complimenti del sottosegretario Del Rio (cfr l’articolo di Giuseppe Cerasa del 15 agosto 2014).

Il cambio di direzione nel discorso de “La Repubblica” su Marino si ha con un durissimo articolo del 12 novembre 2014 che porta la firma di Francesco Merlo. Il titolo stesso è già un preludio: “Marino e il reato di goffaggine”. Dalla presunta goffaggine del sindaco il giornalista prende spunto per costruire una narrazione, condita di citazioni pseudo-colte ma più che altro pop, avente un obiettivo preciso: delegittimare Marino. Per far questo il giornalista rinuncia al suo ruolo di osservatore imparziale: si rivolge al sindaco in modo informale (nei toni e nei contenuti) e conclude addirittura elargendo egli stesso consigli al primo cittadino. Vediamo i passi più significativi di questo racconto:

“E per non pagare le contravvenzioni, il sindaco di Roma si è inventato un pass cancella multe e poi ha cercato di applicarlo retroattivamente. E quando, maldestro, non lo ha più trovato nel sistema informatico del Comune è andato dai carabinieri ad accusare i soliti ignoti che lo perseguitano: “Mi hanno teso una trappola”. […] Così la farsa diventa gossip, nello stile di Roma, perché Marino non parla, non spiega, ha balbettato quattro differenti ricostruzioni, tirando in ballo gli hacker e “il complotto politico”. Mancano solo la Spectre e il Bilderberg. […] E infatti sembra davvero il marziano di Flaiano, con la bici a posto dell’astronave, e poi l’ossessione dei curricula e quell’aria da americano nella città del “maccarone, tu m’hai provocato e io me te magno”. Quando gli ho chiesto perché sfidava l’ironia dei romani mi ha risposto che “il senso civico va costruito con i simboli” e mi ha pure raccontato che “a San Francisco mi hanno fatto la domanda che mi fa lei e io ho risposto che abroad mi applaudono, ma a Roma fatico”. […] A Marino l’ho detto: a sinistra circola l’idea maligna che proprio lui stia riconsegnando Roma alla destra, e si fa il nome di Giorgia Meloni. “Mi vuole spaventare? È la destra xenofoba, omofoba, la peggiore…”. Appunto, sindaco Marino, è lì che può portarci la sua goffaggine, tra le braccia della reginetta di Coattonia. Dunque si ricomponga, chieda scusa, paghi le multe e, per far capire che davvero vuol ricominciare daccapo, per favore scenda da cavallo, nel senso della bici.” (cfr. l’articolo di Francesco Merlo del 12 novembre 2014).

Come è possibile osservare, i toni non sono mai distaccati e imparziali, ma sempre canzonatori, offensivi. Il linguaggio è spesso informale cosi come il contesto nel quale il giornalista si ritrova a interloquire con Marino.  A lasciare attonito il lettore medio è il livello colloquiale dello scambio tra il giornalista e il sindaco, dal quale emerge con ancor più forza un rovesciamento dei ruoli: è il giornalista a dire al sindaco come dovrebbe comportarsi, cosa dire e cosa fare.

A “salvare” Marino politicamente è, secondo “La Repubblica”, lo scandalo Mafia Capitale che a fine 2014 porta ad una prima ondata di arresti. Non essendo coinvolto direttamente, Marino viene tenuto al suo posto ma allo stesso tempo viene affiancato da due commissari (uno politico e uno del governo) che di fatto ne sono i “tutor” politici. Nonostante questi segnali di sfiducia nei suoi confronti, il sindaco è “convinto che il terremoto Mafia Capitale abbia rafforzato il suo profilo di “marziano” e indebolito la politica”. Dichiara infatti: “Andrò avanti con forza e determinazione, questa è la sfida della mia vita” (cfr. l’articolo di Giulia Cerasi e Giovanna Vitale del 5 dicembre 2014).

Seguono mesi nei quali Marino “marziano” non è più un argomento d’interesse per “La Repubblica”. Con esso spariscono i toni sprezzanti e Marino diventa per il Pd il “baluardo contro la corruzione e le infiltrazioni” a Roma (cfr l’articolo del Gianluca Luzi del dicembre 2014). La “tregua” finisce nell’estate 2015 e, anche in questo caso, porta il segno di Francesco Merlo. L’articolo “La resistenza di Marino. I miei nemici sono nel partito” è del 5 giugno 2015. Anche in questo caso il giornalista ricorre a un linguaggio colloquiale, riportando stralci di una conversazione avuta con il sindaco. Merlo cita Marino, che gli confesserebbe: “Il mio nemico è stato il Pd di Roma”. Già all’inizio dell’articolo il giornalista enuncia le sue conclusioni. Secondo lui,  “Marino è il colpevole al quale non si può rimproverare nulla o forse è l’innocente al quale si può rimproverare tutto”. L’articolo si sviluppa come la sceneggiatura di un cortometraggio, con Merlo che va a trovare Marino in Campidoglio e poi per le strade di via Urbana, a passeggio. Le domande che Merlo pone a Marino sono brevi e superficiali. Gli spezzoni delle risposte di Marino sono anch’esse brevi e rivelano l’atteggiamento di chi si pone sulla difensiva. Si capisce che l’intento delle domande e dell’articolo in generale non è quello di andare a fondo sulle problematiche della città ma che c’è altro: l’obiettivo, non più implicito, è quello di screditare il sindaco. Anche in questo caso l’intenzione di chi scrive non sembra essere quella di descrivere la realtà ma quella di costruire una specifica immagine del sindaco, mettendolo in cattiva luce.

Molto diversi sono gli articoli di Concita De Gregorio, che fa una ricostruzione lucida della situazione anche nei momenti di maggior tensione politica, cercando di tener conto di diverse prospettive. Uno dei passi più significativi da questo punto di vista è il seguente:

“La battaglia di Roma vista da vicino è un po’ diversa da come la raccontano. E’ vero che Marino è un marziano. Completamente estraneo ai giochi di potere interni al Pd. E’ vero che ha peccato, in questa logica. Non dà udienza a chi la chiede […], non ha mostrato gratitudine al gruppo che ha favorito la sua elezione. […] Centomila persone hanno votato alle primarie che lui ha vinto col 55 per cento contro David Sassoli e Gentiloni […] In Emilia, alle ultime primarie, sono andati in tutta la regione a votare in 55 mila, per avere un termine di paragone. Ha vinto contro l’apparato: un trionfo. Il partito […] gli ha imposto, mostrano i quaderni, almeno due nomi per la giunta. Giunta che lui aveva annunciato tutta di tecnici. I due nomi obbligatori erano Ozzimo e Coratti, entrambi coinvolti nell’inchiesta su Mafia Capitale. Nei giorni in cui la Camera salva il sottosegretario Castiglione, Ncd, catanese, indagato per turbativa d’asta in una vicenda di rifugiati, amico personale di Alfano e gran collettore di voti per il governo in Sicilia l’accanimento su Marino – la richiesta implicita di dimissioni da parte del Pd e del governo – suscita qualche domanda. Nessuno dubita dell’onestà del sindaco. Quello che gli imputano è una scarsa “capacità di relazione”. Ma se la relazione deve essere quella col Pd di cui Barca ha da poco prodotto le evidenze – su cui il magistrato Pignatone indaga – ha ragione chi dice: viva nessun rapporto.” (cfr. l’articolo di Concita de Gregorio del 25 giugno 2015).

Uno degli articoli più duri nei confronti del sindaco è sferzato ancora una volta da Francesco Merlo nell’articolo “Capitale sede vacante e nei giorni della bufera Marino scrive memorie tra il Texas e i Caraibi”, del 25 agosto 2015. Il pezzo è del tutto coerente con quello precedente sopracitato. Il concetto principale sul quale insiste è l’assenza del sindaco, il suo essere lontano e quindi inutile e anzi dannoso per la città. Merlo parla di Marino in questi termini:

“È così irrilevante che ormai anche le sue dimissioni sarebbero insignificanti. Si è perciò nascosto ai Caraibi per scrivere le sue memorie, libro dei sogni e canto del pastore errante. Ignazio Marino potrebbe rubare il titolo al film dei Fratelli Coen: L’uomo che non c’era. È infatti il loser che mai sta dentro la sua vita […] Sempre l’altrove di Marino è quello delle canzoni e della commedia all’italiana, esotismo e fusi orari. Quando a Roma è mezzogiorno di fuoco lui dorme, come Paperino ad Honolulu che Paperone non poteva raggiungere perché l’uno si alzava quando l’altro si coricava. […] nella storia politica di Roma non c’era mai stata una vacanza di governo, un vuoto, un vacuo, un’assenza così candida come quella di Marino, marziano con la bici al posto dell’astronave, mai perseguito per qualche delitto ma sempre deriso per tutte le goffaggini, americano a Roma, sindaco delle buche, della sporcizia e del degrado epocale della capitale e ora anche scrittore autoenciclopedico, una nuova e inaspettata maschera romana, un incrocio tra Pierrot e Meo Patacca. […] Perciò è insignificante chiedere che Marino si dimetta. Più chiaramente: la campagna per le sue dimissioni che la destra, al di là della demagogia, conduce con molte ragioni, è senza senso politico. Roma infatti è già senza governo[…] Scavalcato, messo tra parentesi, trattato con alzate di spalle e sguardi al cielo, Marino è commissariato sì, ma all’italiana: svuotato, reso superfluo e caraibico, espatriato in patria. Dunque Matteo Orfini gli fa da tutore politico. […] Certo, l’ideale sarebbe stata quella legge speciale che proponemmo già nello scorso giugno per sottrarre Roma al Campidoglio e affidarla allo Stato, come Berlino e come Washington. Il commissariamento all’italiana invece è l’ultima stravaganza andreottiana, è la politica fatta di nascosto, è il gioco delle ombre: The Man Who Wasn’t There.” (cfr. l’articolo di Francesco Merlo del 25 agosto 2015).

Come di consueto, il giornalista usa una serie di espedienti narrativi per criticare apertamente il sindaco. Di più: Merlo ancora una volta abbandona il ruolo di giornalista e per vestire quello di un politico: questo emerge chiaramente sia dall’uso del linguaggio (sensazionalistico, allusivo, spregiativo) che nelle proposte prettamente politiche che egli stesso dichiara di fare.

Marino annuncia le sue dimissioni l’8 ottobre. Nell’articolo “Ignazio impassibile nell’ultimo video conferma la favola del sindaco marziano”, Filippo Ceccarelli ritorna sull’epiteto di marziano osservando l’impassibilità, la calma e il distacco di Marino nel comunicare le sue video-dimissioni. Paolo Boccacci invece ripercorre le “gaffe” del sindaco nel suo articolo “Dal Pandagate ai Casamonica i due lunghi anni di gaffe del più “marziano” dei sindaci” del 9 ottobre 2015. Si profila la possibilità che il futuro candidato del Pd sarà scelto senza il ricorso alle primarie, per evitare appositamente di far emergere un altro “marziano” come Marino (cfr gli articoli di Gianluca Luzi del 12 ottobre e quello di Ginaluca Luzi del 9 ottobre). Un punto di vista più “analitico” è quello di Ilvo Diamanti, che si sofferma sulle debolezze dell’uomo politico. Diamanti fornisce in modo sintetico ed incalzante le principali caratteristiche che hanno reso Marino un “marziano” e ne hanno determinato la “caduta”:

“  … la Mafia (nella) Capitale è considerata (molto o abbastanza) diffusa da quasi 9 romani su 10. Praticamente: da tutti. In “mezzo” a questo “mondo”, Ignazio Marino era percepito come un estraneo. Secondo alcuni, un “marziano”. “Ir-responsabile” del contesto malavitoso cresciuto intorno a lui. Una persona sostanzialmente “onesta” e “modesta”. Incapace di fronteggiare i problemi della città e della vita quotidiana. E, ancor più, di contrastare il fenomeno mafioso che infiltra le istituzioni, le azioni e gli attori pubblici. Per questi motivi, la bufera politica che ha investito il sindaco Marino era largamente annunciata. Dall’insoddisfazione verso le politiche dell’amministrazione e verso il sindaco. […] In fondo, alcuni episodi che hanno accentuato la crisi di credibilità del sindaco dipendono proprio dalla reazione di Marino all’immagine di “marginalità” e di “irresponsabilità” in cui era — ed è — imprigionato. In particolare, il viaggio a Filadelfia, in occasione della visita di papa Francesco negli Usa. […] Così Marino rischia di venire “espulso” perché incapace di assumere un ruolo da protagonista sulla scena pubblica della Capitale, che non tollera comprimari né, tanto meno, figure mediocri. Tanto più — tanto meno — nella Seconda Repubblica, fondata sui media e sui sindaci.” (cfr. l’articolo di Ilvo Diamanti del 12 ottobre 2015).

L’attacco che però rivela l’asprezza di un contrasto che sembra personale è, di nuovo, quello di Merlo. Nell’articolo “La sporcizia del candore” del 9 ottobre il giornalista attacca senza mezze misure Marino e anzi si spinge oltre. Dalle righe del giornali sostiene che:

“Marino se ne è andato per sfinimento. E certo sarà ricordato anche per la lettera strampalatissima che annuncia il ritiro delle dimissioni mentre le rassegna. Il sindaco entra così nel catalogo dei mattoidi italiani, indomabili campioni di bizzarria […] Nel suo stile puro e sudicio, Marino infatti non si rassegna agli Aldo Fabrizi che lo hanno sgamato, smentito e sbertucciato, ai 10 assessori che l’hanno abbandonato, all’Italia intera che lo ha beccato a rubacchiare sulla spesa. A bocca aperta, l’Italia, che all’inizio aveva visto in lui il signor Kunt, il marziano di Flaiano, con la sua bicicletta-astronave circondata dalla Roma di ” a stronzo, do’ stai? do’ vai? “, lo ha infatti scoperto “smisurato” nella sua disonestà […] immiserendosi in uno scontrino di 8 euro e 50, cene a sbafo, bottiglie di vino a scrocco, ma senza la simpatia del vero morto di fame […] Mangiare a scrocco è una delle istituzioni dei Paesi mediterranei […] insomma, tutto sopportano i romani, anche la crapula vaticana e il laidume alla vaccinara, ma non la favola sleale dell’estraneità di Marino […] ma non “lo scrocco onesto” di due bottiglie di whisky, non la frode spacciata per virtù. Marino è il moralista peccatore, con lo sguardo tutto puntato sui peccati degli altri. Sembra inventato da Verdone in uno dei suoi film sugli italiani che praticano di nascosto i vizi che odiosamente denunziano nel prossimo. E il finto moralismo lo ha portato sino alla spavalderia di esibire egli stesso gli scontrini che lo inchiodano […] Marino ha fatto lo straniero. “Io — mi disse — ho anticipato Pignatone, ho cacciato Panzironi dall’Ama, ho chiuso la discarica, ho reciso i contratti di favore, ho imposto di approvare un bilancio…”. Tutto vero, ma solo in Sicilia finora si era visto il disonesto che lotta per l’onestà. Non siamo ancora al mafioso antimafia, ma il cerchio dannato è lo stesso, un po’ come in quei funerali dei romanzi gialli dove la più appariscente corona di fiori è dell’assassino, il bacio più rumoroso è del mandante, con il risultato finale che fiori e baci sono tutti e sempre sospetti. […] Eppure prima degli scontrini, a molti di noi veniva voglia di dargli una mano anche quando faceva l’americano di Filadelfia nella città del “maccarone, tu m’hai provocato e io me te magno”. E forse per sfortuna o per coincidenze freudiane Marino divenne l’uomo che non c’era, il sindaco sempre assente, perché sempre era in America: “Abroad mi applaudono, ma a Roma fatico”. Davvero prima di scoprire la frode, l’Italia gli perdonava le gaffe e la goffaggine. […] Pensammo pure che il Papa della misericordia avesse voluto esageratamente punire il tontolone imbucato a Filadelfia. Ora sappiamo che lo Spirito Santo gli aveva mostrati gli scontrini. In fondo prima dei camerieri romani è stata Sua Santità a licenziare Marino, a smascherare la sporcizia del suo candore.” (cfr. l’articolo di Francesco Merlo del 9 ottobre 2015).

In definitiva, Merlo dichiara colpevole il sindaco prima ancora che la Magistratura abbia aperto un’inchiesta. Nel far questo pretende di guardare il sindaco con gli occhi dei romani, che presuppone quindi d’accordo con la sua analisi. In questo articolo, la questione degli scontrini è additata come la causa ufficiale della caduta di un sindaco descritto sostanzialmente come estraneo, assente, incapace. Anche in questo caso lo stile di Merlo ricorda più la fiction che il giornalismo, nella misura in cui cerca di convogliare l’attenzione sulla sua versione dei fatti con immagini, parole, dettagli “sensazionalistici” e con un elevato numero di citazioni che finiscono per distrarre chi legge dal filo narrativo. Del resto, la storia è ormai svuotata poiché è solo un artificio funzionale ad un obiettivo politico. Come ormai è chiaro, la distruzione narrativa di Marino da parte del giornalista parte da molto lontano e queste parole ricordano più un colpo di grazia che la ricostruzione di una serie di eventi.

Nel complesso, la narrazione che “La Repubblica” fa di Marino è ambigua e tendenzialmente schizofrenica: inizialmente più composta, poi via via sempre più “di parte”. Le critiche sono in genere poco argomentate e sembrano più attacchi personali che il risultato di analisi oggettive. Non si rilevano interviste in profondità con gli attori della scena descritta, utili a fornire maggiori spunti di riflessione al lettore. Le poche domande poste direttamente (perlopiù al sindaco) e citate negli articoli sono superficiali e rivelano intenti provocatori. Il alcuni casi, il linguaggio è pesante, ricco di suggestioni visive e metaforiche; i testi traboccano di espedienti narrativi: il lettore si perde, non distingue più la fiction dalla realtà, l’opinione del giornalista da quella del politico. Dal racconto che “La Repubblica” fa di Marino “sindaco marziano”, si esce come da un film in cui gli attori si sono scambiati i ruoli, il linguaggio, le idee.

Tutti gli articoli citati sono stati visionati sul sito www.repubblica.it


7 risposte a "“La Repubblica” e Ignazio Marino: rappresentazioni e distruzioni del “sindaco marziano”"

  1. Marino “marziano” è uno dei migliori sindaci che Roma abbia avuto, ma allo stesso tempo inadeguato. Considerando il periodo che parte dalle elezioni diretta dei sindaci, abbiamo avuto Rutelli che ha gestito soldi a pioggia a go go come mai Roma ne avesse visti. Fin troppo facile. E comunque non viviamo di rendita per quello. Veltroni invisible man. Alemanno pressoché un criminale di borgata. A Roma alcuni tasti non li puoi toccare; quando si sfugge alle logiche del partito, in questo caso del pd, allora viene mobilita la famosa stampa “libera” italiana, capace di esaltare o demolire una persona in base alle direttive editoriali del momento. Il vero giornalismo di inchiesta rimane sempre un lavoro sporco relegato nei bassifondi dell’editoria.
    C’è ancora molto da fare, c’è da attuare un cambiamento culturale a medio lungo termine. Intanto mi accontenterei di una buona amministrazione spicciola. Magari onesta.

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  2. Complimenti L per quest’ analisi dettagliata, scrupolosa e onesta.
    Il mio intervento è un ulteriore invito a ragionare su queste due considerazioni sollevate dal tuo articolo
    1) In Italia non esiste e non è mai esistita una stampa libera e a-politica. Un giornalismo che guarda all’ opinione pubblica con rispetto, da pari a pari. I motivi sono tanto storici che sociali che culturali. Le conseguenze sono che nessun argomento viene trattato con imparzialità, perché un esame imparziale di un accadimento presuppone l’ esistenza di un pubblico in grado di dare una propria interpretazione dell’ evento.
    2) With or without Marino il vuoto istituzionale nel quale ci troviamo in questo momento dovrebbe atterrirci e muoverci all’ azione; di fatto, lo viviamo con relativa “normalità”, con pacata rassegnazione. Borbottando sotto pelle al massimo. Siamo scivolati nel precipizio di una normalità aberrante, e il dato più spaventoso è che forse non troveremo in noi (dove per noi intendo non solo i romani ma l’ intera nazione italiana) sufficienti stimoli per venirne fuori.

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      1. Numerosi studi sono stati fatti sui “caratteri nazionali”, e credo che la ” rassegnazione borbottante” (sorta di “vorrei ma non posso” o ancor meglio “dovrei ma in fondo mi va bene anche così”) sia l’ elemento discriminante del nostro carattere nazionale. Per cui quello che sta accadendo a Roma non è altro che una proiezione su scala ridotta di dinamiche agenti in modo neanche troppo sotterraneo a livello nazionale.

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  3. Io non credo invece che esistano caratteri nazionali ma fattori culturali situati storicamente e in certa misura influenzati da interessi economici e quindi politici. Dietro alla rassegnazione ci vedo molta indifferenza e pigrizia, oltre che una crescente distrazione funzionale a un consumo sempre piu’ futile e virtuale.

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  4. “.. attraverso meccanismi criminali o legali il potere diventa così corrotto che si rende necessario arrestarlo. Liquidato il potere arriva il momento dell’ opposizione. Ma l’ opposizione da tempo fa parte del potere. Gli unici conflitti tra le due parti sono dovuti alla spartizione delle risorse.
    Se non è possibile fermare il potere-opposizione la popolazione diventa ostaggio dell’ oligarchia”.
    Le analogie con l’ attuale situazione politica della Moldova – secondo le parole del saggista moldavo Vasile Ernu – saltano all’ occhio. La piazza romana non è la piazza di Chisinau, che ha visto mobilitarsi circa 60 mila persone, ma potrebbe essere un segno (rassicurante) che anche qui da noi un barlume di indignazione popolare inizia a lampeggiare dietro la più o meno conveniente apatia sociale.

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  5. Apro una brevissima parentesi sul caso in corso. Se sfiduciano Marino perché indagato, allora tanto vale che lo Stato italiano chiuda i battenti per fallimento. Siccome questa seconda opzione non si verificherà mentre è molto probabile che si verificherà la prima, dovremo seriamente chiederci alla stregua dei moldavi sotto quale giogo stiamo.
    Il discorso sulla stampa ahimè in questo momento è troppo penoso da affrontare lucidamente.

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