Cosa non vi è ancora chiaro dell’importanza della carriera alias?

Lia Celi
21/05/2022

La carriera alias non è un capriccio ma un passo avanti per la scuola. Eppure c'è chi salta sulla sedia. Basterebbe solo pensare a quanto di quel che siamo diventati oggi è frutto della paura giovanile di essere esclusi. E a come saremmo ora, se negli anni dell’adolescenza non ci fossimo sentiti, non dico più gender-free, ma un po’ più free, in genere.

Cosa non vi è ancora chiaro dell’importanza della carriera alias?

Lo ammetto: se come genitore qualche anno fa avessi saputo che il liceo dei miei figli intendeva introdurre la carriera alias, come hanno fatto il liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna e lo scientifico-artistico Serpieri di Rimini, lì per lì avrei pensato alla possibilità per gli studenti di adottare nel loro scolastico un nome d’arte, come gli attori e le popstar. Renderebbe sicuramente più vivace e divertente la vita all’interno delle mura dell’istituto, a cominciare dall’appello, anche se ci sarebbe il rischio che tutti scelgano un nome che comincia per Z, non in omaggio agli ultra-nazionalisti russi, ma per essere gli ultimi in ordine alfabetico quando si tratta di interrogare. E invece ora lo so che cos’è la carriera alias: la possibilità data agli studenti con varianza di genere di poter essere riconosciuti, nei documenti scolastici interni, ossia non ufficiali (esclusi, quindi, pagelle e diplomi), con il nome che si sono scelti al posto di quello anagrafico, in cui non si identificano più. Lo so perché mio figlio trans, che frequenta l’università di Bologna, dall’anno scorso può iscriversi agli esami con il nome che si è dato quando ha iniziato il suo percorso di transizione. E poter evitare il disagio di presentarsi all’esame con un nome che non corrisponde al suo aspetto fisico e non è più quello con cui da anni lo chiamano familiari, amici e fidanzata, gli ha tolto un gran peso dal cuore, un peso che gli aveva reso più difficili gli ultimi anni delle scuole superiori.

Bisogna non saperne una mazza di varianza di genere per saltare sulla sedia davanti a un registro gender-free

Bisogna averla conosciuta da vicino, un’esperienza di varianza di genere, per capire quanto può essere importante per una ragazza o un ragazzo sentire che la sua scuola è uno spazio sicuro, che accoglie e comprende. E bisogna non saperne proprio una mazza di varianza di genere per saltare subito sulla sedia appena si sente parlare di registro gender-free, per formare comitati di genitori inviperiti e sfornare note sdegnate come quella diffusa dal Comitato per la Scuola in presenza di Rimini: il provvedimento del liceo Serpieri, a parere del Comitato, «contribuisce a creare una grande confusione, privando tutti gli studenti della certezza della propria identità (…) contribuendo alla promozione di una tendenza modaiola che potrebbe essere anche l’atto finale di un capriccio adolescenziale: si potrà cambiare nome con la stessa facilità con la quale si cambia la maglietta.» Tendenza modaiola, capriccio adolescenziale, nomi come magliette: davvero un approccio che trabocca di fiducia e di comprensione, sia verso i giovani che verso le autorità scolastiche. A quanto pare questi genitori sono così fan della scuola in presenza da non leggere il comunicato ben visibile sul sito del liceo riminese, dov’è precisato che «i ragazzi che chiedono di accedere alla carriera alias hanno già effettuato un percorso psicologico ad hoc nelle strutture preposte». Insomma, l’eventualità che il supermacho della IV B decida da un giorno all’altro di farsi chiamare Magda da professori e compagni è decisamente improbabile. Altro che mode, capricci e magliette.

I “capricciosi” sarebbero i teenager che stanno gestendo la contraddizione fra come si sentono e il corpo che hanno, non gli adulti no-dad e no-mask che hanno contestato norme utili per salvaguardare la salute dei più fragili

Sembra impossibile che adulti del 2022 riescano a parlare di uno dei più delicati fra i problemi giovanili con un linguaggio che sarebbe sembrato vecchio e insensibile anche al probo Gaspare Barbiellini Amidei, compianto titolare per diversi lustri della rubrica I nostri ragazzi sul settimanale Oggi. Sembra impossibile, senonché gli adulti del Comitato per la Scuola in presenza sono gli stessi che fino a pochi mesi fa si opponevano alle norme anti-pandemia nelle scuole, dalla didattica a distanza alle mascherine. Devono avere un cattivo rapporto con l’Oms, che già da quattro anni ha espunto la varianza di genere dall’elenco delle patologie mentali, mentre continua a considera il Covid una malattia pericolosa. E così i “capricciosi” sarebbero i teenager che stanno gestendo la contraddizione fra come si sentono e il corpo che hanno, non gli adulti no-dad e no-mask che hanno contestato norme di profilassi utili per salvaguardare la salute dei più fragili. Adulti che magari di alias e di nickname ne hanno una decina sui social, dove postano foto di Draghi con i baffetti da Hitler e di Zelensky col naso da clown. Tutti piccoli fan italiani di Orban e della sua teoria della «follia di genere che vede nell’uomo il creatore della propria identità sessuale», dove il punto cruciale, a quanto pare, sta nel «propria»: se l’uomo l’identità cerca di crearla e imporla a un altro, che magari non ci si riconosce, allora tutto ok.

Cosa non vi è ancora chiaro dell'importanza della carriera alias?
Via libera alla Carriera Alias (da Fb).

Per corazzare l’identità sessuale della maggioranza la scuola dovrebbe preservare il disagio dei pochi ragazz* trans?

L’idea sottintesa nella nota del Comitato per la Scuola in presenza è che, per meglio corazzare l’identità sessuale della maggioranza degli studenti, la scuola debba preservare il disagio e l’infelicità dell’esigua minoranza di ragazze e ragazzi trans. Come se loro vulnerabilità potesse funzionare da monito per gli altri («ecco cosa succede a chi non si adegua al destino scritto in quei due fatali cromosomi»). Idea assurda quanto quella che l’inclusione delle compagne e dei compagni trans possa invogliare chi sta bene nel proprio genere a intraprendere un percorso di transizione. I maligni potrebbero insinuare che l’identità più fragile sia quella di chi ha tanta paura delle carriere alias e dei registri gender-free. Ma questa ipotesi allargherebbe il discorso ben oltre le paturnie dei genitori transfobici e finirebbe per coinvolgerci tutti. Quante delle nostre scelte di vita sono state dettate dalle aspettative e degli stereotipi legati al nostro genere, anziché da ciò che volevamo veramente? Quanto di quel che siamo oggi è frutto di paure giovanili di essere esclusi, rifiutati, derisi? Come saremmo ora, se negli anni dell’adolescenza non ci fossimo sentiti, non dico più gender-free, ma un po’ più free, in genere?